Introduzione alla trippa
Siamo nel regno delle frattaglie, parti di scarto dell’animale tanto care alla cucina dei nostri antenati, oggi tornate di moda.
In cima alla lista, lei, la trippa. Le dedichiamo l’articolo di questo mese con l’obiettivo di sfatare qualche falsa credenza e fornire gli strumenti indispensabili per scegliere, trattare e cucinare questo alimento della cucina del riciclo spesso preso un po’ troppo alla leggera.
Povera a chi?
Cominciamo con lo sgombrare il campo dai primi due malintesi: la trippa non viene dalla pancia dell’animale, bensì dal suo stomaco e la sua fama di “alimento povero” è vera fino a un certo punto.
Dal lato nutrizionale, di povertà neppure l’ombra, se non per i grassi, al 5%, in gran parte buoni (monoinsaturi). Piuttosto abbondanza, in minerali, come calcio, magnesio, zinco e selenio. Vitamine e altre molecole benefiche, come la B12, la colina, che riduce i livelli di colesterolo “cattivo” nel sangue e il collagene che dà sostanza a muscoli, ossa, articolazioni, pelle, unghie e capelli.
La trippa poi non è “povera” neppure sul fronte food cost. Il prezzo della materia prima è più basso rispetto a quello di altri tagli come il filetto ma con i maggiori tempi di preparazione alla fine il conto è pari.
1. C’è trippa e trippa, come riconoscere la migliore.
Nell’immaginario comune la trippa è bianca come la neve. Uno stravolgimento delle caratteristiche della materia prima su cui va fatta cultura.
La trippa al naturale è scura; se non marrone, almeno grigia. E la trippa Cazzamali è così.
Quel colore bianco a cui siamo ormai abituati vuole rassicurarci sull’igiene dell’alimento, in realtà c’è poco da stare tranquilli: acqua ossigenata, soluzioni a base di cloro e chi più ne ha, più ne metta. Un cocktail che impoverisce l’alimento sotto il profilo nutrizionale mentre ne altera il gusto. Non a caso in internet pullulano consigli su come eliminare dalla trippa parte dei residui chimici. Passaggi che con la nostra trippa potete saltare a pié pari, limitandovi a una sbollentata iniziale. La sua lavorazione viene fatta direttamente al macello, con acqua bollente, senza uso di sostanze chimiche.
Quando arriva in cucina, conserva ancora intatti gusto e caratteristiche nutrizionali. Ed è più digeribile di quella sbiancata, perché senza agenti chimici da smaltire. Fegato e reni ringraziano.
Tutto questo spesso il cliente non lo sa, raccontiamoglielo.
2. Quale taglio scegliere per una buona trippa?
Siamo abituati a usare sempre e solo un taglio di trippa, in realtà ne abbiamo ben cinque a disposizione. Noi consigliamo di usarli tutti, insieme o separatamente, a seconda della ricetta, per questo li proponiamo in confezioni uniche.
Eccoli tutti in ordine:
- Rumine: detto anche "ciapa", "croce", "larga", "panzone", è la parte più grassa della trippa, con maggiore spessore ed estensione, quasi l'ottanta per cento di tutto lo stomaco dell’animale.
- Cuffia: o reticolo, "beretta", "nido d'ape", è il taglio più usato, riconoscibile dal suo aspetto spugnoso a nido d’ape con la forma simile a una cuffia.
- Omaso: o “cento pelli”, "foiolo", "libretto", "millefogli", è la parte più magra della trippa, simile a tante pieghe come quelle di un libro aperto.
- Abomaso: o "caglio", "francese", "frezza", "lampredotto", "quaglietto", "ricciolotta", è la parte di stomaco più vicina all'intestino, quella più scura, nella forma simile a nastri arricciati insieme.
- Esofago: chiamato anche "erbella" è l’insieme di muscoli e membrane di forma cilindrica che collegano la faringe allo stomaco.
3. La tradizione prima di tutto.
La trippa è cultura gastronomica locale da rispettare e conoscere perché parte della nostra storia. Prima di reinterpretarla secondo il proprio stile, andrebbe studiata, dal punto di vista anatomico, nutrizionale e gastronomico.
Trippa al pomodoro, in brodo, asciutta, fritta, o alla fiorentina; tra le varie ricette regionali la scelta non manca. Solo quando si è passati di qui è possibile avventurarsi oltre.
4. Siate garanti di autenticità.
Di solito il cliente si aspetta un alimento bianco, tendenzialmente più gommoso di una trippa al naturale e molto meno saporito, ahimé quasi delicato.
La nostra è una trippa scura, dal gusto deciso, simile a quello del bollito, con una consistenza morbida e gelatinosa. Ed è così che dovrebbe essere la trippa. Scegliere di rispettare tradizione e materia prima significa assumersi la responsabilità di far arrivare questo messaggio al cliente. A noi l’onere e l’onore di farlo con i ristoratori, a voi con i commensali.
La trippa Cazzamali, confezioni, preparazione e cottura.
Arrivati a questo punto, sarete curiosi di verificare se la nostra trippa è effettivamente così diversa dalle altre. E noi vi sfidiamo a farlo.
Sulla pagina rivenditori vi aspettano confezioni da circa 5, 6 kg che contengono la trippa di un singolo bovino, in tutti e cinque i tagli.
L’ordine va fatto entro il giovedì mattina della settimana prima della consegna, ma per richieste speciali, come di un solo taglio, vi chiediamo di anticipare al martedì, così possiamo avvertire per tempo il macello.
Entrata nelle vostre cucine, la trippa va ripresa in bollore per un’ulteriore garanzia di igiene, poi potete procedere con il taglio secondo ricetta.
Nessun consiglio specifico sulla cottura. La consistenza perfetta dipende dalla ricetta e dalla sensibilità del cuoco, ma in genere considerate circa un’ora e mezza di tempo. La consistenza di una buona trippa naturale tiene sempre la cottura, attenzione solo al lampredotto e al rumine, avendo più fibre di carne rispetto agli altri tagli, tendono a sfaldarsi quando la cottura si prolunga oltre.
Ci vediamo presto, in macelleria, nel vostro ristorante o qui sul blog.
Un saluto, Famiglia Cazzamali.